IL CERVELLO DEL MUSICISTA
La musica e l’utilizzo dei suoni a scopo ludico e comunicativo ci accompagna fin dagli albori dell’umanità. Si ritiene che l’Homo neanderthalensis cantasse prima ancora di essere in grado di parlare e creasse strumenti a fiato con le ossa degli animali.
Suonare, ascoltare musica e cantare hanno effetti straordinari sulla mente e sul cervello fin dalle ultime settimane di vita del feto e nel corso di tutte le età dell’essere umano, inclusa quella tardiva. L’ascolto della musica nella persona molto anziana o addirittura affetta da demenza è molto piacevole poiché stimola i ricordi episodici e autobiografici, suscitando la joie de vivre.
L’attività musicale:
· promuove la neuroplasticità e aumenta la connettività (fibre bianche) producendo sinaptogenesi non solo ippocampale (ci rende, in sostanza “più intelligenti”)
· facilita la comunicazione e l’espressione emotiva
· induce al movimento del corpo, stimolando la corteccia motoria e i gangli della base
· migliora l’acquisizione del linguaggio e fornisce una forte stimolazione sensoriale
· riduce il dolore, dando conforto (es: nella depressione)
· crea un senso di appartenenza, induce comportamenti pro-sociali, rafforza la coesione
· è rilassante dell’adulto (può rallentare l’EEG)
· stimola il centro del piacere (nucleo accumbens), il sistema dopaminergico striatale del rinforzo e produce endorfine e oppioidi
Al pari del linguaggio o del movimento, la musica è in grado di plasmare il sistema nervoso, anche grazie alla componente emotiva.
ESERCIZIO E PLASTICITA’ CEREBRALE
Le connessioni neurali, il numero di neuroni e sinapsi e le tipologie di circuiti nel nostro cervello non sono immutabili, ma godono di un certo grado di plasticità che è presente anche in età adulta come adattamento a stimoli ambientali e a esigenze di prestazione e modalità di ritenzione delle informazioni (memoria).
Gli studi di Pascual-Leone (1995) hanno evidenziato quanto rapidamente il cervello risponda all’educazione musicale: facendo eseguire ai soggetti alcuni esercizi per pianoforte con le cinque dita, si è dimostrato come la corteccia motoria manifesti cambiamenti già qualche minuto dopo l’inizio dell’esecuzione. Il fenomeno è stato associato non solo all’esercizio eseguito fisicamente, ma anche al solo esercizio mentale.
La pratica musicale a lungo termine aumenta l’area della corteccia motoria responsabile del controllo delle dita (acquisizione di abilità motorie fini). La rappresentazione corticale delle dita varia molto a seconda che si suoni uno strumento musicale o meno (la porzione di corteccia somatosensoriale che rappresenta le dita è più ampia nei musicisti). I cambiamenti neurofisiologici alla base di questi adattamenti funzionali possono riguardare il rafforzamento di sinapsi già esistenti, la formazione di nuove sinapsi o il reclutamento di tessuto corticale, precedentemente non utilizzato, durante l’esecuzione di gesti musicali.
CERVELLO DEL MUSICISTA: ANATOMIA E STRUTTURA
Lo studio persistente di uno strumento musicale può portare a cambiamenti macro-strutturali nel volume di alcune strutture del cervello umano, in particolare: corpo calloso, corteccia motoria e uditiva, cervelletto.
Corpo calloso
Il corpo calloso è costituito dall’insieme di fibre che connettono i due emisferi cerebrali e svolge l’importante ruolo di ponte per la comunicazione e l’integrazione intrasemisferica. I movimenti degli arti sono controllati dalla corteccia motoria e premotoria controlaterale e -se non vi fosse il corpo calloso, i due emisferi agirebbero indipendentemente l’uno dall’altro a livello corticale. La formazione musicale (specialmente se è precoce) determina cambiamenti nella dimensione del corpo calloso a causa della maggior esigenza di scambi tra gli emisferi ultrarapidi e alla necessità del musicista di eseguire correttamente sequenze motorie bimanuali e sincronizzate
Cervelletto
Il cervelletto si trova nella parte posteriore del cervello, sottostante i lobi occipitale e temporale. Rappresenta circa il 10% del volume cerebrale ma contiene il 50% del numero totale dei neuroni. Svolge un ruolo rilevante nelle seguenti funzioni:
· mantenimento dell’equilibrio e della postura
· coordinamento dei movimenti volontari
· fluidità e temporizzazione dei movimenti
· apprendimento motorio e procedurale
gli studi mostrano che i musicisti possiedono un volume cerebellare maggiore del5% circa rispetto ai non musicisti (in pratica: la musica sviluppa il cervelletto migliorandone le funzioni)
regioni corticali fronto-parietali
Mediante fMRI (risonanza magnetica funzionale) si è osservato quali aree vengono principalmente interessate dalla pratica della musica: area premotoria per la pianificazione dell’azione, lobo parietale inferiore sinistro per la rappresentazione dell’azione(essendo anche sede di neuroni specchio visuomotori), l’esecuzione motoria e i compiti di previsione; giro frontale inferiore sinistro per i compiti di osservazione del movimento; aree frontoparietali per la comprensione dell’azione e dei movimenti. La regione parietale superiore ha il compito di integrare le informazioni sensoriali multimodali (visive, uditive, somatosensoriali) e di guidare le operazioni motorie attraverso intense connessioni reciproche con la corteccia premotoria.
Corteccia motoria
La corteccia motoria è tra le aree maggiormente coinvolte nella neuroplasticità legata all’esercizio musicale prolungato, assumendo volumi significativamente maggiori nei musicisti rispetto ai non, nei gruppi di controllo.
IMMAGINAZIONE UDITIVA
L’immagine mentale uditiva consiste nell’attivazione di tracce uditive in assenza di stimolazione sensoriale. Questo è possibile su base volontaria, attivando il ricordo di frammenti musicali, canzoni, melodie, oppure su base involontaria (quando siamo tormentati da un motivetto di cui non riusciamo più a liberarci, chiamato in termine tecnico earwarm).
La memoria musicale coinvolge prevalentemente la corteccia uditiva, soprattutto destra, e le aree della corteccia prefrontale deputate al recupero delle informazioni episodiche. Per esempio, riconoscere melodie familiari apprese nel passato, come una vecchia canzone, stimola processi di memoria musicale a lungo termine e attiva la corteccia frontale e il lobo temporale inferiore sinistro, nei quali sono conservate le tracce mnestiche, oltre alle altre aree legate all’emotività (per esempio il cingolato) e all’ippocampo.
Suonare uno strumento musicale o cantare non impegna soltanto la corteccia motoria e premotoria, deputata alla programmazione ed esecuzione del movimento: sono coinvolti anche i sistemi di regolazione del feedback uditivo, visivo e propriocettivo, quelli attentivi e di controllo (basati prevalentemente sulla corteccia prefrontale dorsolaterale e sul cingolo anteriore), i sistemi di memoria di lavoro, a lungo termine e procedurale e i sistemi di codifica delle emozioni… in sostanza, l’intero cervello!
APPRENDIMENTO DELLA MUSICA IN ETA’ ADULTA
La plasticità neurale, cioè la capacità del sistema nervoso centrale di alterare le sue strutture corticali e le sue funzioni in seguito a specifiche esperienze, ad apprendimento e allenamento, come pure in seguito a danni cerebrali, è massima durante la primissima infanzia. Qualunque tipo di apprendimento motorio o procedurale è senz’altro più efficace e naturale da bambini (fino all’adolescenza), in quanto richiede meno sforzo. Ciò non significa che non si possano acquisire nuove abilità procedurali: è possibile imparare a suonare uno strumento musicale, dalla viola da gamba all’oboe, a qualsiasi età, anche da adulti.
Il cervello adulto continua a manifestare sinaptogenesi (formazione di nuove sinapsi), neurogenesi (formazione di nuovi neuroni) e neural pruning (potatura, eliminazione di connessioni superflue) nono solo ippocampale, ma anche in altri punti della corteccia. Interessante notare che i nuovi filamenti sinaptici possono formarsi entro i due mesi dallo sviluppo di nuovi neuroni, finestra al di sotto della quale non si verifica un apprendimento duraturo, cioè sotto forma di sintesi di proteine. Questo implica che training inferiori a due mesi (per esempio per imparare a suonare una chitarra), sono associati ad apprendimenti reversibili, cioè non duraturi. Vi sono, infatti, due tipi di tracce mnestiche:
la prima è basata sulla codifica bioelettrica, per cui le cellule nervose persistono nella loro scarica. La traccia mantiene un’informazione (una melodia, per esempio), per qualche decina di secondi al massimo. È la memoria a breve termine o memoria di lavoro.
La seconda è basata su modificazioni biochimiche strutturali, con la formazione di nuove sinapsi: ciascun neurone può collegarsi ad un numero massimo di altri 1000 neuroni. Questa traccia mantiene l’apprendimento per ore, mesi, anni, o in modo duraturo e quasi irreversibile se si tratta di memoria procedurale.
La memoria procedurale è molto meno soggetta a oblio di quella dichiarativa: il paziente affetto da Alzheimer può non ricordarsi il nome della propria figlia, ma essere ancora in grado di ballare o di suonare. Il consolidamento duraturo della traccia mnestica richiede un’intensa riattivazione dei circuiti coinvolti nella funzione (per esempio motoria, che equivalgono ad un esercizio motorio prolungato. Nel caso della pratica musicale uno dei cambiamenti più importanti è la formazione di nuove connessioni neurali tra la corteccia uditiva, visiva, motoria e somatosensoriale che vede coinvolte anche le strutture sottocorticali dei gangli della base, del cervelletto e del corpo calloso. Il normale, fisiologico, invecchiamento produce un decremento graduale delle funzioni cognitive che include una compromissione delle funzioni esecutive e della memoria e una riduzione della velocità di elaborazione delle informazioni. Inoltre, gli individui più anziani possono avere maggiori difficoltà dei giovani nelle abilità motorie. Tuttavia, l’invecchiamento del cervello può anche avviare processi compensativi per mitigare il declino cognitivo. La Riserva Cognitiva è diventata un concetto chiave per la prevenzione di malattie neurodegenerative e il declino cognitivo correlato all’età. Con Riserva Cognitiva si intende una serie di fattori che hanno dimostrato di contribuire in modo significativo alla riduzione del rischio di soffrire di demenza: gli studi scolastici, il rendimento professionale, le capacità intellettuali, le interazioni sociali e le attività del tempo libero (lettura, scrittura, cruciverba, musica…). È stato mostrato che questi fattori – tra cui la pratica musicale riveste un ruolo rilevante- possono ritardare significativamente l’insorgenza del declino mentale certificato da una diagnosi di demenza, a prescindere dal livello socio-economico e dalla predisposizione genetica degli individui.
EFFETTI BENEFICI DELLA MUSICA NELLE DEMENZE
Per demenza si intende un deterioramento delle funzioni cognitive legato all’avanzare dell’età ed associato ad un invecchiamento patologico. per esempio, la malattia di Alzheimer, può portare ad atrofia corticale e demenza: si tratta di una malattia neurodegenerativa progressiva e fatale, caratterizzata da perdita di memoria e di altre funzioni cognitive. i segni patologici consistono nell’aggregazione di peptidi beta-amiloide in placche e fosforilazione della proteina Tau in grovigli neurofibrillari che si diffondono gradualmente nel cervello. La malattia porta a compromissione globale cronica e progressiva delle funzioni corticali superiori, incluse:
· memoria
· prestazioni percettivo-motorie
· comportamento sociale
· controllo delle reazioni emotive
· capacità di fare fronte alle richieste della vita di tutti i giorni
la pratica musicale come hobby per il tempo libero o sottoforma di musicotrerapia (insieme alla terapia farmacologica) costituisce un importante metodi per rinforzare la riserva cognitiva, che è contrasto alla demenza.
Seinfeld e altri (2013) hanno valutato l’impatto dell’esercizio su uno strumento musicale sulle funzioni cognitive, l’umore e la qualità della vita negli anziani. L’obiettivo era studiare gli effetti specifici della pratica musicale rispetto agli effetti di altre attività di svago negli anziani. A tale scopo, un gruppo di partecipanti riceveva lezioni di uno strumento musicale esercitando si ogni giorno per quattro mesi, mentre un gruppo di controllo -di età corrispondente- partecipava ad altri tipi di attività ricreative (esercizio fisico, lezioni di computer, lezioni di pittura). I partecipanti allo studio sono stati sottoposti ad un esame accurato che includeva test neuropsicologici (tra cui Stroop Test e il Trial Making Test, test per le abilità visuo-motorie, attenzione visiva, flessibilità cognitiva, funzione motoria e a funzioni esecutive), e questionari sull’umore e sulla qualità della vita, sia prima sia dopo il trattamento di quattro mesi in entrambi i gruppi. I risultati mostrarono un miglioramento dei pazienti che avevano preso lezioni di musica sia per quanto riguarda le funzioni esecutive (Stroop Test) sia, in misura minore, per la scansione visiva e l’abilità motoria. Globalmente, i partecipanti alle lezioni di musica avevano punteggi migliori sulla scala che misurava il tono dell’umore ed erano meno depressi grazie al potere lenitivo della musica.
Questi risultati, insieme a quelli di altri studi simili, suggeriscono che suonare uno strumento musicale e imparare a leggere la musica può costituire un intervento -se non addirittura un trattamento riabilitativo- utile negli anziani, in quanto promuove la riserva cognitiva e migliora il benessere soggettivo.
Anche Balbag e altri (2014) hanno dimostrato che suonare uno strumento offre protezione contro la demenza. In uno studio condotto di 435 coppie di gemelli hanno esaminato l’associazione tra il suonare uno strumento musicale e l’eventuale sviluppo di una demenza in età avanzata, a prescindere dal corredo genetico. È stato rilevato che, a prescindere dal sesso, dalla condizione fisica e dal livello scolastico-educativo, il fatto id suonare uno strumento musicale era significativamente associato a una minore probabilità di sviluppare una demenza. in particolare, i gemelli che suonavano uno strumento nell’età adulta o anziana avevano una ridotta probabilità (meno 64%) di sviluppare demenza e deficit cognitivi rispetto ai loro fratelli/sorelle gemelli. Questa evidenza supporta ulteriormente la nozione che lo studio e la pratica della musica costituiscano un fattore protettivo contro la demenza e il relativo deterioramento cognitivo.
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